In velocipede da Amsterdam al faro di Marken

Gita al Faro.

Non nego il fascino dei paesaggi olandesi, la comodità delle biciclette, l’organizzazione perfetta delle loro ciclovie… eppure, nonostante ciò, la fatica dopo  ventiquattro (sottovalutati) chilometri si è insinuata, inesorabilmente, nei muscoli delle mie gambe.

Fine luglio. L’aria fresca e il cielo limpido stimolano il mio desiderio da esploratore.

La meta prescelta è Marken. Parto presto dal mio hotel nel centro di Amsterdam e m’infilo tra i viali della città imboccando una pista ciclabile che non mi abbandonerà più fino alla destinazione finale.

Scivolo veloce superando i sobborghi della città; il tragitto pianeggiante motiva la mia corsa e mi sento invincibile. (Sento già di mentire a me stesso).

Dopo i primi cinque o sei chilometri (anche se a me sembrano venti) inizio ad annaspare e ringrazio un ponte levatoio in funzione che mi obbliga a prendere fiato e a iniziare a guardarmi intorno accorgendomi che la città, oramai lasciata alle spalle, è stata sostituita dai primi boschi e specchi d’acqua che cesellano delicatamente i panorami dinanzi a me.

Dal parapetto del ponte osservo decine d’imbarcazioni che transitano sotto i miei occhi. Mi soffermo su queste animelle dondolanti che si trasformano in barchette di carta inghiottite dalla foschia dell’orizzonte mentre si allontanano sul mare, galleggianti e sospinte dal vento.

Il ponte si ricompone lentamente e riprendo la mia corsa.

M’imbatto nel piccolo paese di Durgerdam, dove case con vista mare, ben allineate l’una all’altra, protette da tetti a punta, con le facciate dai colori pastello e il loro giardino sul retro ben curato, si susseguono silenti. Sigilla la fine del villaggio una chiesetta che si affaccia su una bellissima laguna puntellata qua e là da natanti a riposo.

La pista ciclabile prosegue su di un argine che incornicia un bacino dove qualche pennuto plana lento sul filo dell’acqua in cerca di pesce come aperitivo.

Un senso di leggerezza mi pervade e mi sento coinvolto mentre ammiro una natura così rispettata.

Arrivo a una grossa pala eolica e mi rapisce la sua imponenza. Osservata con reverenza e timore dal basso ricorda un’enorme girandola senza colori, pronta a far desistere i viandanti nel proseguire. Leggo su un cartello i chilometri mancanti al mio traguardo e mi convinco che ci sia inciso a caratteri cubitali una sola parola: infiniti.

L’ultimo tratto di strada verso Marken è suggestivo poiché,  da entrambi i lati, il mare lambisce le due corsie che collegano la terraferma a quella che una volta era un’isola, la sensazione è quella di pedalare sull’acqua. Il vento è a favore e mi sembra di guizzare via veloce.

Arrivo esausto.

Il primo impatto è quello di giungere nella città di Edward Mani di Forbici, dalle casette tutte uguali, con un fiume che scorre lento per il villaggio e un tempo cadenzato da un ritmo quasi finto. E poi c’è il porto – un tempo unico scalo per giungere sull’isola. É un lento viavai di barche che approdano. Alcune sbarcano turisti  e poi imperturbabili riprendono il largo, altre il pesce fresco pescato al largo. Sulla banchina, spuntano venditori ambulanti di pesce fritto, pollo e frutti di bosco. Assaggio dei dolci alla nutella mentre affido al mare il mio sguardo e osservo il passare lento degli abitanti del luogo, dei caffé e di qualche visitatore.

Decido di proseguire verso il faro, l’ultimo traguardo di questa mia gita fuori porta a circa quindici minuti dal centro di Marken. Riprendo la pedalata e un attimo prima di allontanarmi dal villaggio m’imbatto in una chiesetta dal tetto in legno. Mi fermo e sbircio all’interno.  Dal soffitto, dondolanti, si alternano barche, velieri e natanti di diverse dimensioni.

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Monto in sella nuovamente e mi affatico tra distese di verde, pecore, mucche a noi conosciute dal manto chiazzato di nero o di marrone e alcune meno popolari, pelose e dalle lunghe corna che pascolano indisturbate.

Finalmente, il faro appare in lontananza.

Intravedo dei lavori in corso.

É chiuso. Per restauro.

Non commento.

Arrivo alla piccola spiaggia. Raffiche di vento agitano il mare. Gli azzurri dell’ acqua e i marroni della sabbia si mescolano tra di loro e tante piccole conchiglie proteggono i granelli della rena in un tripudio di rosa e di beige. Le piccole onde sospinte da folate di vento approdano delicate sul bagnasciuga. Respiro bene. Mi volto verso la mia compagna di viaggio; è lì, che riposa su un fianco sull’erba, con le ruote che girano sospinte dal vento.

“La vita non è una serie di lampioncini disposti simmetricamente; la vita è un alone luminoso, un involucro semitrasparente che ci racchiude dall’alba della coscienza fino alla fine.” –

Virginia Woolf – Gita al Faro

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