Il mio sabato del villaggio …in Vietnam

In agguato piogge improvvise. Il clima umido, il cielo plumbeo, le nuvole basse di certo non fanno presagire un pomeriggio sereno. Eppure, i miei compagni di viaggio insistono per un giro in bicicletta nella campagna vietnamita subito alle spalle della città di Huè; e alla fine, sebbene titubante, mi lascio convincere.

La bicicletta data in dotazione dall’hotel è quella che è: sellino scomodo, manubrio poco saldo e ruota non proprio gonfia. Ma si parte.

Appena lasciata la cittadina con le sue case alte, le strade asfaltate e le macchine chiassose, imbocco una strada sterrata. Gli edifici iniziano a diradarsi e man mano vengono sostituiti dalle distese verdi dei campi di riso, alternati a stagni punteggiati di ninfee colorate. Dei bufali si rotolano nel fango; realizzo di non averne ancora visti durante il mio soggiorno in Vietnam. Sono grandi, sembrano buoni, pacifici e interessati solo a riposare nella loro pozza e a sguazzarci dentro. Hanno corna enormi e piene di fango, ma non fanno paura.

Superando una grossa porta di legno colorata, larga quanto una strada a due corsie, arrivo in un piccolo centro abitato dove c’è una festa in corso. Lanterne ovunque, pronte per essere accese; e tutte le casette in legno sono addobbate da nastri colorati attaccati alle assi e sulle porte. Dei ragazzi mi corrono incontro sorridenti, circondandomi: ai loro occhi devo sembrare un divo. Vogliono fare delle foto con me e mi gioco, così, i miei quindici minuti di celebrità.

Calato il sipario, scendo dalla bicicletta e proseguo a piedi avvicinandomi a nuvole di persone festanti tutte in cerchio. Assisto – per la prima volta nella mia vita – a un combattimento di galli (anche se, in verità, assomigliano più a due grossi tacchini). Presumo che i due pennuti, oramai spiumati e feriti, si stiano battendo da ore. Sembrano stremati, ma fieri. Degli uomini intorno a loro, con i soldi in mano, li incitano a continuare. Certo,  si tratta della cultura locale, eppure mi investe un senso di scoramento. Senza aspettare la fine, passo oltre e proseguo tra i colori di un mercato improvvisato dove alcune ragazze sono intente a cercare tra i loro lunghi capelli uova di pidocchi che, una volta scovate, tolgono meticolosamente con le unghie. Più avanti, in un catino, cinque piccoli coccodrilli sono pronti per essere cucinati, mentre in una gabbietta scodinzolano due cagnolini… e intuisco che non sono lì per essere adottati. Ancora più avanti qualche tartaruga è pronta per essere fatta arrosto. …Ma qui in Vietnam è meglio non farsi troppe domande sulla dieta locale.

Un’immagine si sussegue all’altra: un uomo riposa avvolto nella sua amaca con di fianco la sua moto e le ceste che riprenderà a vendere non appena si sarà svegliato; una ragazza, bendata, si diverte con il gioco della pignatta; poco distante, fiorisce un’aiuola di incensi colorati. Sembra un bel momento, sono tutti felici e ridono, tanto. Le donne che non sono coinvolte nella ricerca dei pidocchi indossano dei cappelli a cono; gli uomini, invece, portano dei cappelli tondeggianti. Quello che ho sulla testa è a cono …e ora capisco l’ilarità e l’insistenza di coloro che volevano fare una foto con me, al mio arrivo.

Il cielo si fa sempre più scuro. Riprendo la bici e lascio alle spalle questo scorcio di oriente per tornare a Huè. Qualche rovina abbandonata, quasi sommersa dalla giungla, puntella il paesaggio. Tutto sembra congelato nel tempo nei dintorni delle città vietnamite, come se l’occidente non avesse ancora intaccato questi angoli di Asia. Sembrerebbe che non ci sia fretta, ma voglia di stare bene.

Le nubi si addensano veloci. Giungo in città un attimo prima dell’arrivo di un forte acquazzone.

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Conchiglia #6🐚 – La famiglia cigno a collaudo – Marken – Olanda

È estate, luglio.

Sto pedalando tra le stradine del piccolo villaggio di Marken, un raggiante paesello olandese adagiato su una piccola isola collegata alla terraferma  da una strada artificiale, ridimensionando, così, quel senso di solitudine che l’avrebbe contraddistinto maggiormente. Tra i vialetti ben tenuti, qualche abitante cura il proprio giardino, dei bambini scorrazzano vivaci, ma la mia attenzione viene catturata da un movimento elegante e sinuoso che appare come per magia da un piccolo rio. Una famiglia di cigni, rigorosamente in fila indiana con Madre Cigno in testa tronfia e orgogliosa della sua nidiata, fa capolino da dietro una curva. Lei, impettita come un generale pronto a impartire lezioni di portamento e di galleggiamento, guida la scolaresca. Si volta, ogni tanto, per assicurarsi che la ciurma sia ben salda alle sue penne. Arriva a un ponticello e con una leggiadra inversione a U torna indietro. Siamo in fase di rodaggio: è evidente… e le file si rompono. Richiamo veloce da parte della Regina Madre e tutti rientrano nei ranghi.

Meraviglioso quadro di una giornata d’estate.

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Conchiglia #5🐚 – Le oche del chiostro della cattedrale di Santa Eulalia a Barcellona

Nel chiostro della cattedrale gotica di Santa Eulalia a Barcellona, lontano dal trambusto delle ramblas, tredici bianchissime oche paffute sono le protagoniste indiscusse del giardino interno. Secondo la leggenda, la loro presenza in quel luogo sarebbe da attribuire al fatto che, durante la fase di realizzazione della cattedrale, delle oche sventarono – con il loro vociare – un tentativo di furto dei materiali necessari per la costruzione della chiesa stessa, venendo così elette a paladine di quel luogo sacro. Il numero tredici dovrebbe essere legato, invece, alle tredici torture subìte da Santa Eulalia. Oggi, se ci si affaccia nel giardino, si ha la sensazione di trovarsi in un’aia ben tenuta; e, avvicinandosi con curiosità alle grate del cancello che le ospita, dove loro riposano e passeggiano indisturbate, si rischia di essere rimproverati dai loro schiamazzi starnazzanti. Le oche sono lì, fiere e orgogliose del loro compito, a difesa dei sacri confini. L’atteggiamento guerriero incute quasi timore, dissuadendo così i turisti desiderosi di fare un selfie con loro. Eppure, queste ancelle gloriose che passeggiano tra palme e aranci, regalano al chiostro, durante l’ora della sera, un’atmosfera incantata, a tratti sospesa e misteriosa. Le tredici signore mi sorprendono, mentre si aggirano con quella loro andatura un po’ buffa tra architetture tanto imponenti, regalando al luogo un’aura senza tempo… E, per un attimo, io mi sono immaginato di portarle via da lì e di farmi accompagnare da loro durante la mia esplorazione dei barrios della città, come un novello addestratore d’oche.

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Le oche nel chiostro di Santa Eulalia a Barcellona

Trabocco d’amore …per San Vito Marina – Abruzzo – Italia 🇮🇹 

Quando ero piccolo, passavo le mie estati a San Vito Marina. Nonno aveva la casa e da lì si guardava l’orizzonte dalla finestra del salotto. Oggi, casa c’è sempre, nonno non più, ma rimane nei miei ricordi la sua figura sdraiata sulla poltrona, coi piedi appoggiati sulla sedia e puntati dritti verso il balcone, i capelli bianchi e gli occhi grigi a contemplare il mare.

A San Vito il mare è stupendo, non ha nulla da invidiare alle coste salentine: ci sono i sassi, se si preferisce l’acqua trasparente; o la sabbia se si vuole passeggiare sulla battigia.

A San Vito Marina, dove ha origine parte della mia famiglia, ci sono ancora i trabocchi: macchine da pesca costruite su assi di legno e tronchi ben piantati in mare; …benché, certo, su alcuni di essi oggi ci si vada a mangiare, perché sono stati rimessi a nuovo e dotati di ristoranti, perdendo quella che era la loro funzione originaria.

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Il clima è piacevole e, vicino, c’è il Parco Nazionale d’Abruzzo, dove qualche orso marsicano e qualche lupo hanno la loro casa. I cinghiali, invece, hanno invaso San Vito e arrecano un po’ di fastidi, …ma si spera sempre di non incontrarli di notte, mentre si guida sulla strada statale poco illuminata.

Qui, a San Vito, i pomodori sanno di pomodoro, e non come a Milano, dove non si capisce che gusto abbiano. L’olio è buono e anche il miele lo è. Le arance sanno di arancia e i mandarini di mandarino, mentre i limoni sono così aspri che sulle cozze sono una meraviglia. E poi, a San Vito, i dolci sono la fine del mondo. I celli pieni all’uovo o al vino con la marmellata d’uva nera, mandorle, noci tritate, mosto cotto e scorza d’arancia sono indescrivibili. …E i bocconotti: tripudio di cioccolato e pasta frolla.

Vicino a San Vito, lungo la costa dei trabocchi, s’incontra l’Eremo Dannunziano, in contrada Portelle, dove Gabriele D’Annunzio soggiornò nell’estate del 1889 e dove, passeggiando tra qualche ulivo antico a braccetto con la sua amante, iniziò a comporre Il Trionfo della Morte.

Oggi, ahimè, ritorno raramente a San Vito (chissà poi perché…)  e  preferisco viaggiare lontano, ma – lo giuro – io trabocco sempre d’amore per questa terra che mi tiene così dolcemente legato alle mie estati da bambino.

Conchiglia #4🐚 – Covone di fieno – Portonovo (AN) – Italia 🇮🇹 

Ho sempre avuto una profonda ammirazione per i covoni di fieno. Innata. Li amo. In estate, quando mi capita di passare per le campagne marchigiane o abruzzesi e di vederli in fila, diligentemente al loro posto, ognuno alla giusta distanza dall’altro, mi fanno tenerezza. Sembra che abbiano bisogno di protezione, tutti ben arrotolati su loro stessi come se si proteggessero. E a me viene voglia di abbracciarli.

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Conchiglia #3🐚 – In viaggio in un tempo lontano – Tempio di Ta Som – Cambogia 🇰🇭 

C`è silenzio, finalmente. Ho dovuto aspettare qualche minuto prima che gli ultimi turisti si allontanassero. Avevo bisogno di ammirare questa mia scoperta da esploratore, in solitudine: il primo tempio, incontrato in Cambogia, abbracciato, cullato e circondato da un albero. Ogni singola radice, come un lungo braccio, poggia al suolo delicatamente e fa della terra la sua base, circondando una piccola porta, forse, in passato, usata come ingresso a un luogo di culto. Tutto è misterioso, si conosce ancora poco. Chiudo gli occhi e m’incammino verso il passato, immaginando – al di là di questa porta – una città brulicante, un viavai di persone che si salutano e pregano; ci sono templi maestosi o forse piccoli luoghi di culto e un re sul suo elefante. Apro gli occhi, ritorno al mio presente e, mentre scatto la foto, appare lui, come se arrivasse da quel tempo lontano.

Piccola sagoma curiosa.

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Conchiglia #2🐚 – Islanda 🇮🇸 

In Islanda puoi guidare per ore sull’unica strada principale che corre intorno a tutta l’isola senza stancarti mai. Puoi camminare sulla sabbia nera lasciata da una recente eruzione vulcanica, e toccarla e sentirla così soffice tra le tue dita. Puoi credere di trovarti sulla luna, senza doverti ricordare di essere sulla terra. In Islanda, puoi incontrare una peruviana, nella città più a nord dell’isola, che ti serve un caffè e che ti confida che le manca il suo paese così caldo, anche se qui lei ora ha suo marito, islandese, e i suoi figli. E, poi, ti possono offrire dei panini al sapore di pulcinella di mare. Puoi sorseggiare una cioccolata calda, in mezzo al mare, nell’attesa che una balena venga a salutarti.  E guardare le cascate, con gli arcobaleni che ci passano in mezzo.

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Conchiglia #1🐚 – Cambogia 🇰🇭 

Navigando sul fiume Tonle Sap – Cambogia

La barchetta che mi sta cullando verso le acque torbide del Lago Tonle Sap, zigzagando tra le baracche del villaggio galleggiante di pescatori nella provincia di Kompong Chhnang, vira, lentamente, facendosi largo tra centinaia di ninfee e continua a solcare il fiume immettendosi nel lago. Dalle casette sulle palafitte che si susseguono l’una vicina all’altra, con i tetti di lamiere roventi e le assi di legno che sostituiscono i muri, corre un bambino sul suo terrazzino di fortuna e inizia a indicarmi divertito al suo papà, sdraiato poco distante. Indossa una maglia arancione di una famosa squadra di calcio. Ride, e il sorriso – bianchissimo – riempie il suo viso. Lo saluto con la mano – sembra incredulo – poi corre dalla sua mamma che dondola, assonnata, sull’amaca, e le sussurra qualcosa all’orecchio. Torna verso il bordo del terrazzino e mi guarda con un sorriso ancora più bello di prima e inizia ad agitare la sua manina. Rispondo agitando la mia mano. Ride. E guarda la sua mamma. E ride ancora …e sembra che non ci sia altra felicità più grande di questa, per lui. E io mi sento così, infinitamente, niente.

Da Reine verso la spiaggia di Bunes, passando per Vinstad – Isole Lofoten ─ Norvegia [II Parte: Vinstad-Bunes Beach]

Il traghetto mi ha appena lasciato a Vinstad e, mentre prende il largo, mi accorgo di quanta dolce ripetitività esista nel suo muoversi tra quel fiordo suggestivo. Vedo ancora la schiuma che sembra accendere nuovi colori sul volto dell’acqua, ma, un attimo dopo, le rughe scompaiono e tutto torna piatto, immobile. Supero le cassette della posta e m’incammino lungo il sentiero: m’imbatto subito in una piccola abitazione; ho il ricordo che fosse bianca o − chissà – rossa, con una scritta a mano: BAR, TOILETTE. Internazionale.

Lascio alle spalle questa parte di mondo e procedo con passo spedito. La camminata è piacevole, il fiordo prosegue ancora all’interno costeggiando il sentiero,  anche se l’acqua si fa sempre più bassa; complice la marea, che lascia scorci di sabbia e qualche conchiglia sparsa qua e là. Una barchetta legata a una boa si lascia dondolare dalle poche onde che la cingono a prua; forse il proprietario sonnecchia in una delle poche casette che s’incontrano lungo il percorso. Alcune di esse sembrano disabitate; da altre, invece, provengono suoni di radio gracchianti e s’intravedono, nei piccoli giardini, un signore con le guance rosse che fatica a tagliare il suo prato e un triciclo capovolto abbandonato in un cortile recintato.

Il sentiero inizia a salire, prima dolcemente, poi si fa sempre più ripido. C’è una cresta lassù in cima: una sorta di barriera naturale. Mentre salgo mi volto indietro e la vista della baia sottostante, appena lasciata, con la fila delle montagne ai lati, mi regala una scusa per riprendere fiato e scattare qualche foto.

Riprendo il cammino e arrivo in alto. Quassù sembra di trovarsi nell’anticamera di una nuova dimensione: uno spartiacque; il dorso divide il paesaggio in due mondi distinti. Valicata la cresta, resto senza fiato. In basso, davanti a me,  una spiaggia che sembra infinita. Sarà lunga un chilometro, forse due, tre… non me ne rendo conto. Ora sono indeciso, mi volto indietro. Sto per lasciare le acque limpide e sonnacchiose, il fiordo e i suoi contorni delicati e il tiepido sole norvegese per raggiungere quella vasta lingua di sabbia, un mare agitato e delle ombre riflesse, sul terreno, dalle montagne che circondano in semicerchio la spiaggia stessa. E sia.

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M’incammino per un sentierino scosceso, dove le scarpe ogni tanto sprofondano come inghiottite dalla sabbia portata dal vento che si mescola alla terra. Le onde del mare, che s’infrangono sulla battigia, via via che mi avvicino alla spiaggia si fanno sempre più rumorose: ne sono attratto. Il vento apre la giacca a vento e la sciarpa vola via. Sono sulla spiaggia. Potrei correre verso il mare lontano. Eppure mi soffermo:  sospendo ogni movimento. E osservo il mare di fronte a me. Delle nuvole si rincorrono veloci e sembrano toccare l’acqua. Anche qui la sensazione di quel cielo che ha il sapore d’infinito non mi abbandona. Le montagne con le loro pareti taglienti fanno da guardiani di questo spazio selvaggio. Adesso vorrei correre, ma qualcosa mi trattiene ancora. Vedo qualcuno che si prepara per la notte: apre una tenda, tira fuori dal suo zaino un fornellino. Da qualche parte ho letto che i tramonti a Bunes Beach sono tra i migliori alle Lofoten. Invidierò chi dormirà qui, durante il mio tragitto di rientro. Prendo coraggio e vado verso il mare. Tolgo le scarpe e inizio a lasciare le mie orme sulla sabbia bagnata; mi avvicino, eppure il mare mi sembra ancora lontano. Le mie impronte calpestano quelle di un bambino e di un cane e di un uccello che mi hanno preceduto. Arrivo al mare, finalmente. E sono quasi in acqua. Qualche temerario si tuffa, io resto fermo, chiudo gli occhi. L’acqua lambisce i miei piedi. Apro le braccia e il profumo del mare, inconfondibile, accompagnato dal vento, lo sento sulla pelle, mi inebria la mente. La spiaggia di Bunes mi ha rapito, scosso. Resta nel cuore …e fa felice.

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