Da Chiang Rai, nel nord della Thailandia, mi dirigo con un’auto privata verso il luogo dove l’antico Siam incontra il Laos e il Myanmar e dove strizza l’occhio alle lontane montagne della Cina: il cosiddetto Triangolo d’Oro. Qui, le tre nazioni del Sud-Est asiatico sono separate dal fiume Mekong, che dà vita e speranza agli abitanti dei tanti villaggi che punteggiano le sue rive.
Lungo la strada che conduce al Triangolo d’Oro, una tappa obbligata è la visita al Wat Rong Khun, noto anche come White Temple: un tempio buddista, costruito interamente in gesso bianco, ideato e progettato nel 1997 dalla mente di Chalermchai Kositpipat, eccentrico artista locale.
Avvistato in lontananza, il tempio appare subito maestoso e, nello stesso tempo, mi fa pensare a una grossa meringa con panna che sembra colare da ogni lato dell’edificio, quasi a creare forme geometriche futuriste al limite della raffinatezza del gusto.
Eppure, mi affascina.
Scendo dall’auto e l’accoglienza al tempio me la riservano delle maschere bianche legate ai rami di alcuni alberi che lo circondano; maschere con sembianze di diavoli, mostri e gnomi malefici che sembrano essere i custodi del luogo, lì a intimorirmi, quasi a vietarmi di proseguire oltre.
Passeggiando tra i giardini del tempio, m’imbatto in piccoli edifici con tetti decorati da fiamme volte verso il cielo e in un drago che si erge da un ruscello gettando dalla bocca zampilli d’acqua. Più in là, un imponente albero in metallo, che ricorda un abete, attira la mia attenzione; è decorato da migliaia di piccoli cuori di acciaio dalle forme allungate e colanti.
Mi avvicino al ponte che collega il cancello d’ingresso all’entrata del tempio che – ahimè – scopro però essere chiuso per restauri a causa di un recente terremoto. E, tuttavia, lo spettacolo non s’interrompe: l’estro dell’artista si è infatti sviluppato magnificamente anche all’esterno dell’edificio sacro. Ai lati del ponte, sulla distesa d’acqua, punteggiata da fontane a mezza via tra candelabri e grossi cesti di frutta deformi, si stagliano due grossi Naga – i serpenti/dragoni custodi dei templi buddisti. I grossi rettili bianchi si allungano sui parapetti del ponte stesso, decorati con lamine di colore argento o di vetro trasparente che ne delineano le forme, gli occhi e le fauci. S’intravedono anche delle figure misteriose e dei teschi con smorfie congelate in un grido di dolore.
Da uno dei giardini di gesso sottostanti al ponte si protendono decine di mani tese, come nel tentativo di riaffermare la loro passata esistenza, nel desiderio estremo di aggrapparsi a una vita che sembra averli condannati. Tra di esse, alcune tendono un vaso come se stessero chiedendo dell’acqua o del cibo. Non s’incontrano volti, eppure dalla posizione delle mani, alcune contorte e altre in tensione, traspirano i racconti: storie che vorrebbero essere gridate prima di una fine inevitabile. Tra tutte queste richieste d’aiuto, una sola mano fa un gesto di sfida: un dito medio dall’unghia laccata di rosso. A lei non interessa nulla di questo mondo: un saluto alla morte o alla vita stessa che lo ha abbandonato, quasi a dire: “No, non ti temo, sono pronto”.
Mi volto, saluto le maschere di diavoli che mi fissano feroci e risalgo in macchina …verso nord.
Leggere queste righe mi fa sembrare di esserci stato… Non vedo l’ora di leggere la prossima tappa.!
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Grazie Ale…un viaggio che ti consiglio vivamente!
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Magnifico il white temple, anche se alcuni particolari sono….. Angoscianti???
Interessanti le tue descrizioni!
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