Da Reine verso la spiaggia di Bunes, passando per Vinstad – Isole Lofoten – Norvegia [I° Parte: Reine-Vinstad]

Se ci si trova alle isole Lofoten, nella zona sud-occidentale di questo straordinario arcipelago ancora poco conosciuto dal cosiddetto turismo di massa, non si può mancare un’escursione a uno dei più sorprendenti  fra i tanti luoghi suggestivi che la Norvegia ha da offrire: Bunes Beach.

Alla spiaggia di Bunes ci puoi arrivare solo in battello e non ci sono alternative: nessuna macchina può percorrere alcuna strada, nessun ponte collega questo luogo alla terraferma perché, per approdare in posti unici, a volte, è giusto che sia così.

La partenza per questa escursione comincia dal minuscolo molo di Reine, piccolo villaggio di pescatori, dove una fila di una decina di persone, diligentemente, aspetta il proprio turno per prendere un piccolo peschereccio che fa da spola tra, la già pacifica e meravigliosa armonia del villaggio e quello che, grazie al silenzio irreale, la natura incontaminata, le poche persone e una spiaggia bagnata da un mare agitato, renderà questa gita indimenticabile.

In fila per ritirare i biglietti, davanti a me, una bambina di poco più di due anni, presumo di origini svedesi, gioca con una pozzanghera:  vi salta dentro, l’acqua la schizza e lei si bagna, ride e corre verso la madre che la incita a divertirsi ancora. Non dà fastidio; anzi, intrattiene noi viaggiatori in attesa e ci contagia con la sua allegria. Penso a come sarebbe l’atteggiamento di altre madri, tra urla e rimproveri. Sorrido divertito, quasi spinto dal desiderio di entrare anch’io in quella pozzanghera di giochi.

La fila procede un po’ a rilento: il peschereccio può accogliere al massimo trenta fortunati viaggiatori a ogni partenza; e il viaggio per raggiungere l’approdo di Vinstad, dove inizia il sentiero per Bunes Beach, dura circa venti minuti: occorre quindi aspettare che torni il peschereccio salpato da poco. Durante l’attesa, mi soffermo sulle immagini da cartolina che mi offre il luogo, sui colori che mi circondano: il mare è di un blu intenso, mentre il cielo dà una sensazione d’infinito che pochi altri cieli, a memoria,  mi hanno fatto vivere. E poi ci sono i rorbu, le tipiche casette in legno color mattone ─ che ospitano oggi i turisti, e che fino a ieri erano le case dei pescatori ─ che riflettono le proprie sfumature di rosso nel mare. L’aria è fresca e il sole regala una parvenza d’estate; è agosto e ci saranno 14 gradi, qui, in uno dei luoghi più a nord che io abbia mai visitato. Mentre osservo cosa accade intorno, mi accorgo che il ritmo dei movimenti pare così rallentato che le barchette che entrano nella picola baia sembrano quasi ricordare il suono di un carillon.

Finalmente è il mio turno! Salto sul peschereccio e l’opzione, scelta da molti, di scendere nel piccolo ponte di coperta non mi passa nemmeno per la testa. Mi siedo sulla prua, senza disturbare la vista al timoniere e…si parte. Il peschereccio attraversa lentamente la baia. Sembra di stare in un dipinto: le montagne sono cesellate con così tanta precisione e hanno colori di un verde accesso che mi sembra di navigare su un altro pianeta. Qualche gabbiano ci segue, e da lontano il piccolo villaggio di Reine assume i contorni di un paese abitato da gnomi e folletti. Uscendo dalla baia il nostro peschereccio s’insinua nel Bunesfjorden; e il colore del mare continua a regalare sfumature diverse a ogni metro. E’ indescrivibile: prima azzurro, poi verde ─ trasparente a tratti – e poi a suggello di un momento di estrema perfezione , in lontananza, si aggiunge una cascata, che sembra nascere dal cielo e si tuffa delicatamente in acqua.

Sono rapito da tutti questi piccoli dettagli, protagonista di un quadro vivente, improvvisamente, appare dietro una curva, il porticciolo d’approdo: una passerella di poche assi e, appese una vicina all’altra, le cassette per la posta (non più di dieci) dai colori differenti e con targhette dai nomi impronunciabili, a ricordarmi che qualcuno qui, lontano dal mondo, ci vive.

Sono arrivato a Vinstad.

Scendo dal traghetto, in inglese il capitano mi dice che l’ultimo rientro è previsto per le 15.30, poi… nulla più, fino al giorno successivo. Guardo la mulattiera che precede la mia camminata. Mi volto e vedo il peschereccio far manovra, virare e tornare indietro.

Davanti a me il sentiero per Bunes Beach

Si parte.

#Tobecontinued…

Capo Sunio – Atene -Grecia

Recentemente ho deciso di partire per Atene, sebbene avessi mille reticenze dovute soprattutto al fatto che la mia  prima volta in questa città era capitata, di passaggio verso un’isoletta greca, in una giornata di agosto assai afosa: ero arrivato la sera prima e il traghetto che mi avrebbe portato ad Antiparos sarebbe partito solo due giorni dopo. Faceva caldo (troppo caldo) e mi ero trovato a visitare la città con una canicola che non dava scampo. Passeggiare per l’Acropoli era diventato, invece che un piacere, una tortura che non avrei augurato nemmeno ai più acerrimi nemici. Difficile in quelle condizioni avere lo spirito adatto per scoprire gli aspetti di questa città straordinaria. Oggi, avendole dedicato cinque giorni interi, posso dire che mai avrei pensato di ricredermi e di fare ritorno a casa con la convinzione di aver visitato una delle più affascinanti capitali europee.

Tornerò sicuramente, nei prossimi post, a parlare di Atene, ma vorrei iniziare a raccontarvi di una località, a soli 70 km a sud della capitale greca, dal nome di Capo Sunio, dove ha sede un famoso tempio dedicato a Poseidone.

Arrivare a Capo Sunio è molto semplice, sia con un mezzo proprio, sia con i mezzi pubblici. Non avendo noleggiato l’automobile, mi sono recato in Piazza Aigyptou  subito dopo pranzo e ho aspettato l’autobus della compagnia KTEL che, partendo dal centro di Atene e costeggiando la strada panoramica verso sud che s’insinua morbida tra la geografia del luogo, mi ha portato, dopo circa due ore, al suggestivo promontorio che sovrasta il Mar Egeo.  Vi consiglio di visitare il luogo in una giornata serena perché vi dà la possibilità di arrivarci dopo aver visto scorci sul mare e sulla costa meravigliosi, dove anche in gennaio, periodo in cui sono stato io, corraggiosi natanti si tuffavano per scappare dagli “afosi” 16 gradi della città…

Il viaggio per arrivare a Capo Sunio è già un’esperienza che meriterebbe un discorso a parte. Il bus a tutta velocità percorre la strada costiera e, dopo averla abbandonata, s’insinua tra piccole strade attraversando paesi e villaggi che sembrano essersi fermati nel tempo. A un incrocio, dal nulla, dopo circa un’ora di viaggio, un omino assai sudato sale sul bus. Questo signore, con una divisa di due misure di troppo, ci chiede di pagare il costo del biglietto e inizia a staccare velocemente cinque o forse sei biglietti per ogni persona, ognuno di un colore differente come se ogni talloncino rappresentasse le zone che avevamo appena superato o che avremmo dovuto scollinare. Mi ritrovo con una mezza dozzina di biglietti in mano accartocciati senza aver capito esattamente quanto io abbia pagato. Dopo aver fatto il giro completo tra i presenti increduli e divertiti, improvvisamente, a una fermata-non-fermata in mezzo al nulla, tra la natura brulla di un paese sperduto nell’entroterra dell’Attica, le porte si riaprono e lui scende esausto col suo bottino. Il buon omino lo ritroverò anche sul viaggio di ritorno, sempre più esausto e sempre più sudato. 🙂

Finalmente, dopo aver superato diverse curve e cambiato autobus in un luogo non meglio identificato, appena dietro una roccia appare sul promontorio di Capo Sunio, a picco sul mare, ciò che resta del tempio di Poseidone. È reale la meraviglia nei miei occhi; e i sospiri dei miei compagni di viaggio mi fanno capire che l’emozione di profondo stupore è condivisa. Il tempio, edificato intorno al 440 a.C., è in marmo bianco; ed è possibile visitarlo pagando un biglietto d’ingresso di 5 €.

Per i più il vero obiettivo della “gita in giornata” è quello di fotografare il tramonto, quando il sole colora le venature del marmo del tempio, regalando lo spettacolo delle sue sedici colonne sopravvissute che virano dal bianco accecante di qualche ora prima verso un rosa acceso, donando così al luogo un aspetto magico…Ma è proprio quando il sole tramonta,  gli applausi di rito al sole che va a dormire sono terminati e le persone si affrettano a uscire dai cancelli, che si offre la possibilità di una nuova e forse ancora più suggestiva visione del luogo.

Restiamo in pochi, almeno a gennaio, ad aspettare l’ultimo bus che ci riporterà ad Atene e, mentre i più si fermano al ristorante, decido di avventurarmi – una volta fuori dal tempio – su di una collinetta alla sinistra del ristorante stesso. Un sentiero ti accompagna giù, quasi fino al mare. E comincia qui una nuova magia di Capo Sunio. Il sole regala le sue ultime pennellate: arancio, rosa, viola, blu intenso, che riesco a fotografare prima che il mare torni a essere di un nero profondo e si unisca al cielo portandosi con sé i colori del luogo; in lontananza, si intravede il tempio, illuminato artificialmente. Ed è qui che si coglie fino in fondo il potere della leggenda che accompagna questo luogo:  si narra che da lassù, Egeo, padre di Teseo e re di Atene, aspettasse il ritorno del figlio dall’impresa del Minotauro. L’accordo con il padre prevedeva che, se la vela della nave sulla quale viaggiava Teseo fosse stata bianca, avrebbe voluto dire che il figlio si era salvato. Eppure, nonostante la vittoria, Teseo, per errore o per dimenticanza, lasciò sventolare la vela nera e, alla sua vista, il padre, disperato, si gettò dalla rupe nel mare che oggi prende il suo nome.

Ancora immerso nei miei pensieri, volgo lo sguardo verso il cielo; le prime stelle si affacciano luminose e prepotenti a ricordarmi che saranno loro le protagoniste di questa notte. Mi emoziono ancora una volta perché un cielo stellato non è – ahimè – così scontato per chi come me vive in città. Aggiusto il berretto e torno verso il mondo di oggi: il rombo del motore dell’autobus mi ricorda che l’ultimo passaggio sta partendo.

 

Inizio – Itaca – Kavafis

Questo spazio nasce dall’idea di voler condividere attraverso foto, racconti e poesie delle emozioni che alcuni viaggi mi hanno regalato. Partiamo.

Apro uno spazio dedicato ai viaggi che ho fatto per condividere la mia passione per i luoghi, le città e tutto quello che ha attirato la mia attenzione in questi ultimi anni.

Troverete foto, commenti e il desiderio di raccontare esperienze ed emozioni. Le immagini che vedrete sono il mio punto di vista su questo mondo, il racconto delle sensazioni che i luoghi che ho visitato mi hanno regalato. E in più l’occasione − perché no − di qualche suggerimento o consiglio pratico.

Mi piacerebbe che ne  nascesse un momento di condivisione sulle nostre esperienze …e sulle prossime mete da non perdere. Senza fretta.

Nient’altro. Partiamo.

Con una poesia dedicata al viaggio “Itaca” e una foto scattata a Elafonissi, Creta.

ITACA

(di Konstantinos Kavafis, 1911; traduzione di Filippo Maria Pontani, 1961)

Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa’ voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l’emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.

Fa’ voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa’ scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell’Egitto,
a imparare dai sapienti.

Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna a quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.

Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.

E se la ritrovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.